venerdì 18 gennaio 2013

IL PROVINCIALISMO E' PEGGIO DELL' IGNORANZA

Fa pena questa italietta dei piccoli paesini, fanno tenerezza quei trifolchi saccenti che oltre a stare seduti in osteria a giocare a briscola o (i più "evoluti") ai video-poker non hanno nessun'altra aspirazione concreta. Fanno ribrezzo gli atteggiamenti di certuni caprài, dissociatori e calunniosi verso "il forestiero", che solo nelle piccole frazioni trovano la sua più malefica espressione.

Provo pietosa commiserazione per i bovari col megafonino con 1000 applicazioni (delle quali non hanno la minima cognizione tecnica)...per i neo-coatti che smarmittano nelle piazzette, con l'alettone sulla opel astra low rider, e il navigatore touch screen con la mappa della via Lattea, anche se non usciranno mai dal borgo in cui abitano...per gli anziani quali una vita di fatiche ha portato solo un orrida senilità, che cercano di metabolizzare attraverso quelli più  giovani, dispensando loro “perle di saggezzama, soprattutto, disprezzando tutto ciò che tenti quel poco di innovazione.

Il provincialismo è peggio dell'ignoranza.

É la decadenza morale in termini, l'antiprogressismo per definizione, è quel tumore spirituale che nasce dalla paura, dalla solitudine e dalla (falsa) consapevoleza di vivere isolati dagli altri, e come reazione produce la.....tendenza ad isolare gli altri.
Ezra Pound, uno spacchiùso pensatore/saggista quasi contemporaneo (ma che finì per essere rinchiuso in un manicomio) diceva:
“Il provincialismo è ignoranza più una volontà di uniformità”
Capito? È qualcosa di piu dell'ignoranza perchè incute un senso di attaccamento al luogo d'origine e ne infonde un istinto di appartenenza. Creando così coalizioni fra gli abitanti ma denigrando il resto del mondo. 
E, nelle forme più “gravi”, costringe l'uomo a non emergere dal torpore delle sue idee, e tenerlo li dov'è. Lo scopo della vita, che voi lo vogliate o no, è l'evoluzione della vita stessa. 
Noi tutti, in fondo, desideriamo più conoscenza, più denaro, più salute...tutti aspirano ad una posizione migliore di quella attuale. L'uomo non può avanzare sennò; sarebbe contro natura desiderare il contrario.

Dante Alighieri, nella Divina Commedia, dipinge Lucifero come un'anima imprigionata in un blocco di ghiaccio dal quale, nell'affanno, non riesce mai a liberarsi e tornare la bella creatura che era un tempo. Diventa un'anima dannata dal momento in cui rimane imprigionato in quel blocco di ghiaccio e non riesce ad emergere... dal momento in cui si cristallizza nell'immobilità. 
Il simbolismo è evidente: è come dire che il male peggiore per un uomo è restare fermo nelle sue credenze, senza la possibilità di poter liberarsene, ed assurgere a qualcosa "di più"!

Così recita:
Mi trovavo già, e lo ricordo con orrore per metterlo in versi,
là dove tutte le anime dannate erano coperte di ghiaccio,
e potevano essere intraviste così come una pagliuzza imprigionata nel vetro.


Am